Cosa sta succedendo alle Eolie? Rischio maremoto come nel 1343?
Terremoti ed eruzioni nelle Isole Eolie: cosa sta succedendo? Rischio maremoto? Stanotte alle 3.52 è stata registrata un altra forte scossa di terremoto di magnitudo 4.3 al largo delle isole Eolie, nel Tirreno Meridionale ad una profondità di 5 km. Questo il bollettino dell'Ingv. Per fortuna nessun danno è stato segnalato alle persone o alle cose. Il sisma è stato localizzato a circa 25 chilometri a nord-ovest di Alicudi. L'evento di oggi fa parte di una lunga serie di attività sismica ed eruttiva abbastanza rilevante. Il sisma, che si è verificato al largo dell'isola di Alicudi, è stato avvertito da alcuni abitanti. «È stato molto forte», si legge sui social. Stromboli, Vulcano ed un altro vulcano sottomarino che fa parte della stessa area che da segni di risveglio dopo ben 600mila anni. Ma cosa sta succedendo esattamente? Specialmente nelle ultime ore c'è attenzione sulla situazione di Stromboli e sulle eruzioni che stanno suscitando più preoccupazioni del solito. Continua infatti il trabocco lavico dal vulcano delle Eolie con materiale incandescente che si distacca dal "braccio" e raggiunge la costa. Un eventoormai continuo, il trabocco lavico è prodotto dall'area nord della terrazza craterica dello Stromboli. È apparso ben alimentato e la parte più avanzata si attesta nella porzione intermedia della Sciara del fuoco. Dal fronte si distacca materiale che raggiunge la linea di costa. Persiste anche una ordinaria attività stromboliana da entrambe le aree crateriche nord e centro sud. I vulcanologi aggiungono che il tremore vulcanico si mantiene su livelli medi. Anche se a tratti da luogo ad esplosioni più energetiche che portano su valori medio-alti. Un altra anomalia è quella di Vulcano, ormai zona rossa con emissioni di gas fuori norma. L'attività sismica ed eruttiva non è da sottovalutare perchè storicamente, lo Stromboli nel 1343 e nel 1456 provocò un devastante maremoto che colpì in particolare la Campania, distruggendo i porti di Napoli ed Amalfi e provocando migliaia di morti nelle zone costiere.
La testimonianza di Francesco Petrarca che si trovava a Napoli
Secondo la testimonianza dello scrittore Francesco Petrarca che si trovava in missione come ambasciatore inviato nella città partenopea da Papa Clemente VI, raccontò l'accaduto in un'epistola a Giovanni Colonna, descrivendo la forte scossa di terremoto e il maremoto che ne conseguì come una misteriosa quanto violenta tempesta marina avvenuta il 25 novembre di quell'anno e che aveva causato l'affondamento di numerose navi nel porto di Napoli e causato migliaia di morti e feriti. Francesco Petrarca fu così scosso da quel terribile evento che mai più volle metter piede a Napoli e tantomeno in qualche località di mare. Ecco la sua testimonianza:
"... Volendo il Satirico con poche parole descrivere una famosa procella, disse che si levò una procella poetica. Qual parlare più breve, e ad un tempo più espressivo di questo? Nulla è che possano il cielo o il mare commossi a sdegno, cui le parole e lo stile de' poeti non adeguino e non sorpassino. E per non addurre di cosa per se manifesta inutili esempi, rammenterò la tempesta di Omero, ed il guerriero lanciato contro lo scoglio, e le minacce ed i danni del monte Cafareo, ad imitazione di cui i nostri poeti dissero i flutti siccome monti sollevati alle stelle. Or bene: non può loquela descrivere, ne pensiero immaginare cosa che ieri qui avvenuta non sia, anzi ogni detto, ogni idea sarebbe meno di quel che avvenne. Danno immenso, singolare, inaudito! Descrivano pure Omero la greca, e Virgilio l'eolia, e Lucano la tempesta dell'Epiro: a me, se il tempo non verrà meno, ampia materia di poetico lavoro porgerà la tempesta di ieri: avvegnachè non solo nel golfo di Napoli, ma e nell'Adriatico, e in tutto il Tirreno, e forse in tutti i mari debba credersi essere stata universale tempesta: io però la dico di Napoli, perchè mi accadde di vederla mentre traeva in Napoli incresciosa dimora. Come meglio il consentano le angustie del tempo e la fretta del messo che dee recar questa lettera, io ti vo' far persuaso che nulla di così orribile, nulla di così furioso erami avvenuto di vedere giammai. Egli è meraviglioso a dirsi che già la fama l'imminente flagello aveva annunziato: e certo Vescovo di un'isola di qui vicina, il quale si diletta d'astrologia, or son pochi giorni lo aveva predetto. Conciossiachè però avvien di rado che le congetture colpiscan dirittamente nel vero, non una fortuna di mare, ma un terremoto, a la rovina di Napoli per il 25 Novembre del 1343 aveva minacciata. Perchè tutte le menti erano piene di strane paure, e la più parte del popolo all'aspetto della morte vicina, lasciata da un canto ogni altra bisogna, a far penitenza de' suoi peccati, e a mutar vita si adoperava. Altri per lo contrario di que'vani timori facevansi beffe, spezialmente perchè erano già di que' giorni avvenute alcune grosse procelle, e svanita con esse credevano tutta la forza del vaticinio. Io nè tutto alla speranza, nè tutto al timore mi abbandonava, e libero la mente dall'uno e dall'altra, piuttosto a quello che non a questa sentivami inclinato. Imperocchè avvien pur troppo nelle umane vicende che più di quello che speri, s0avveri quello che temi: ed io di que'giorni molti segni nel cielo avea veduti ed uditi, i quali nei montani paesi ov'io soglio vivere, quasi celesti presagi solevano nel fitto inverno ispirarmi un religioso terrore. In somma: era la notte che precedeva al dì temuto: una turba di donne sopraffatte dalla paura e più del pericolo che del proprio pudore pensose, stretti alla mammella i loro bambini correvan le strade, le piazze, e supplichi, lagrimose sulla soglia delle chiese facevano pressa. Commosso da quello universale spavento io di prima sera a casa mia mi ridussi. Regnava nel cielo insolita calma: ed a questa affidati i miei compagni più presto nelle loro camere si ritirarono. Io volli aspettare per vedere qual fosse il tramonto della luna, che era, se non m'ingganno, nel suo settimo giorno. Stetti dunque alla finestra finchè poco innanzi la mezza notte cinta da un nembo, e tutta mesta calarsi la vidi, ed occultarsi dietro il monte vicino; ed allora entrai nella mia camera e così tardi mi posi in letto a dormire. Aveva appena preso sonno, quando con improvviso orrendo fragore non le sole finestre ma tutte le mura e la volta di solidissima pietra fabbricate dall'ime fondamenta tremando si scuotono: il lumino che, me dormente veglia la notte, si estingue: balziamo dai letti: al sonno che fugge sottentra il timore d'una morte imminente. E in quella che brancolando fra le tenebre ci cerchiam gli uni gli altri, e al truce lume de'lampi scorgendoci con trepida voce ci esortiamo a vicenda, i buoni religiosi nella cui casa abitiamo, e Davide lor Priore santissimo che m'onoro nominare, mentre secondo l'usato sorgevano a cantare le notturne lodi di Cristo, dal repentino flagello inorriditi, portando a sè d'innanzi accese faci, inalberando croci e reliquie de' santi, e ad alte grida la divina misericordia invocando, si gettano in folla nella mia camera. Mi rincorai allora alcun poco, e tutti insieme ne andammo alla Chiesa ove prostesi in mezzo a mille gemiti passammo quella notte, pensando che da un momento all'altro tutti morti saremmo, e tutto intorno fatto maceria e ruina. Sarebbe un non finirla mai chi tutto volesse di quella notte infernale descrivere a parole l'orrore: e quantunque rade volte col dire s'aggiunga al vero, al vero torrebbe fede il dir mio. Oh il diluvio, oh i venti, e le saette! Oh fragore di cielo, oh commovimento di terra, oh mugghio di mare! Oh ululato degli uomini! Passata così quella notte che quasi per magico incantesimo si parve due tanti più lunga che veramente non fosse, quando più per argomento di ragione che non per segno che ne desse la luce credemmo vicino il nascer del giorno, ecco i sacerdoti ne' sacri loro paramenti farsi agli altari e offerirvi i sacrificii e noi sull'umida e nuda terra intorno a quelli prosternarci non osi ancora di sollevare al cielo lo sguardo. Cresciuto il chiarore si che fummo certi esser giorno, poco però meno tenebroso della notte, cessò ad un tratto il clamore degli uomini dalla parte superiore della città, e più forte invece e più spesso si fece udire dalla marina: e poichè domandatone non ci venne fatto saper che si fosse, volto siccome avviene lo sgomento in ardire, montiamo a cavallo, e pur di vedere, disposti ancora a lasciar la vita, scendiamo al porto. Dio buono! Quale orrendo spettacolo! I più decrepiti marinai lo dicon cosa che non ha esempio. Nel mezzo stesso del porto spaventoso e lagrimevole il naufragio: travolti i miseri nelle onde mentre già prossimi al lido tendean le braccia ad afferrarlo, da impetuoso flutto lanciati contro gli scogli, quasi fossero molli uova s'infransero, e de' mutilati e tuttavia palpitanti loro cadaveri empierono il lido. A quello vedi le cervella, a questo schizzate fuor le minugia: le grida degli uomini, il guaiolar delle donne vince il fragore del cielo riunito a quello del mare. Arroge a tutto questo il rovinar degli edifici abbattuti in gran parte dalla violenza de' flutti che non ebbero in quel giorno confine, e come all'opra dell'uomo, così alla legge della natura fatti ribelli, ogni lido e ogni limite oltrepassando, tanto quell'alta mole che collo sporto de' fianchi (al dir di Virgilio) a formare il porto dagli uomini fu fabbricata, quanto tutto intorno quel littorale paese ebbero ricoperto: e là dove poc'anzi a piede asciutto si passeggiava, ora non poteva che pericolosamente andarsi per nave. Ivi meglio che mille cavalieri napolitani quasi a far corrotto per la morte della patria erano convenuti: ed io a loro frammischiatomi, sentiva dal trovarmi con tanta gente quasi scemato il timor della morte, quand'ecco si solleva un nuovo clamore: cedeva all'impeto de' flutti sotterranei e smottava il terreno che sostenevaci: perchè fuggendo a luogo più elevato ci riparammo. Non v'era cuore di guardarsi attorno che nè del cielo, ne del mare irati e furibondi potevano umano sguardo sostenere l'aspetto. Alti monti di flutti scorrevano tra Napoli e Capri, nè già ceruleo, o negro, siccome suole nelle grandi procelle, ma tutto bianco, e tutto di candida spuma orrendamente coperto il mar si pareva. In quella scalza i piedi, discinta le chiome la giovane regina, e dietro di lei numerosa schiera di donne per lo imminente pericolo fatte di vereconde audacissime, escono dalla reggia, e al tempio della Vergine regina del cielo supplichevoli a stornare l'estrema rovina correndo si affrettano... Ma io già m'avveggo che trepidando tu l'esito aspetti di così grande spavento. In terra, come a Dio piacque, a mala pena trovammo scampo. In mare non vi fu nave che regger potesse a tanta furia: nemmen nel porto. Tre lunghe barche Marsigliesi, cui chiaman galèe, tronate da Cipro, che dopo si lunga navigazione stavan sull'ancore per partir la mattina, agli occhi nostri, mentre tutti del fiero caso piangevano, e nessuno poteva loro recare alcun soccorso, furono ingoiate dall'onde; e de' marinai, de' piloti non riuscì a salvarsi pur uno. Altre navi di specie diversa, ed anche più grandi, che s'eran nel porto come in sicurissimo luogo rifuggite, incontrarono la medesima sorte. Una sola fra tante ne rimase che carica era di malfattori, ai quali perchè andassero a combattere la Sicilia era stata perdonata la vita, sì che sottratti al carnefice perissero in guerra. Grande, fortissima e tutta di bovine pelli coperta la loro nave alla violenza de' flutti fin presso al tramonto del sole aveva resistito: ma finalmente cedendo, cominciava essa pure ad affondare. Al sovrastar del pericolo correvan quelli affannosi da tutte le parti a riparar la carena che minacciava sfasciarsi, ed eran, dicono, ben quattrocento, ciurma, non che ad una nave, bastevole ad una flotta, aitanti tutti e robusti delle persone, e come quelli che avean or ora scampata la morte, ne altro potean temere di peggio, pertinaci nel resistere e animosissimi. Ma durante l'impeto della procella, a poco a poco sentivano calarsi a fondo, e incominciata la notte, inevitabile omai si pareva anche ad essi il naufragio: perchè spossati e vinti deposer le armi, e sbucarono tutti sopra coperta: quan'ecco contro ogni speranza serenarsi il cielo ed abbonacciarsi il mare: e dallo universale esterminio soli quei malvagi campare illesi: sia che spesso a costor fortuna arrida, come dice Lucano, sia, come dice Virgilio, perchè tal degli Dei fosse il volere, sia finalmente perchè s'abbia ad intendere contro il pericolo della morte... "